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Una vendemmia di luce, parla Nicola Biasi

Vendemmia 2019 a Terre di Ger: Il nostro enologo Nicola Biasi ci parla della maturazione delle uve, delle prime impressioni in cantina e delle varietà resistenti.

Nicola, puoi farci un quadro generale su questa nuova annata?

L’annata 2019 non è partita sotto i migliori auspici perché a maggio abbiamo avuto piogge frequenti e questo non ha certo giovato alle viti anche se, fortunatamente, la situazione si è normalizzata negli ultimi mesi.
Definirei questa vendemmia come “di luce” perché le uve sono maturate prevalentemente per merito della luce solare piuttosto che per le alte temperature. Questa è una condizione speciale perché ha permesso alle uve bianche di raggiungere un grado di maturazione ottimale sia dal punto di vista zuccherino che aromatico, conferendo al quadro acido un assetto particolarmente interessante. Le acidità sono alte, una situazione che non capitava da tempo, proprio perché le ultime annate si sono sempre rivelate molto calde e veloci; questo ci permetterà di ottenere vini senz’altro maggiormente complessi ed eleganti e con un potenziale evolutivo maggiore rispetto alle annate precedenti.

Quali caratteristiche possiamo notare nei primi mosti?

Le rese di quest’anno sono leggermente più basse rispetto alla norma quindi la trasformazione da uva a mosto non è abbondante e questo significa che la buccia risulta abbastanza spessa perciò avremo sicuramente una marcia in più per quanto riguarda il corredo aromatico e la struttura del vino. Ad oggi, le fermentazioni sono tutte molto pulite e i primi mosti che hanno finito di fermentare qualche giorno fa presentano delle caratteristiche organolettiche particolarmente interessanti.

Come si sono comportate le uve da varietà resistenti?

Come già detto, la stagione è iniziata in modo un po’ zoppicante per le frequenti piogge della primavera e questo poteva essere un limite per quello che riguarda i trattamenti. In realtà le varietà resistenti si sono rivelate battagliere e si sono comportate molto bene, infatti non hanno presentato nessun sintomo di malattie, come per esempio la Peronospera che è il problema più grosso che si può incontrare ad inizio stagione. Le varietà resistenti ci danno un grande vantaggio a livello di sostenibilità ambientale ma non solo. Con trattamenti quasi pari a zero, ci troviamo tenori di rame bassissimi o quasi nulli nei mosti e questo ci permette di avere fermentazioni più pulite e soprattutto non rischiamo di perdere aromi e profumi che, in caso di alti livelli di rame, verrebbero pesantemente compromessi.

Le varietà resistenti e l’annata 2019 | Intervista al Dr. Carlo Peratoner

La vendemmia è alle porte! Quali considerazioni si possono già fare sull’annata 2019? E in che modo le nostre viti resistenti si sono autoprotette dagli attacchi delle malattie di questa primavera? Durante un controllo al nostro vigneto di Frattina, abbiamo chiesto al Dr. Carlo Peratoner, agronomo di Progetto Natura di farci un quadro della situazione.

Quali considerazioni si possono già fare sull’annata 2019?

L’annata 2019 è partita in maniera abbastanza difficoltosa. Le frequenti piogge nel mese di maggio e le basse temperature hanno rallentato lo sviluppo delle piante con conseguenti attacchi di malattie abbastanza importanti su vigneti convenzionali e non. C’è stato inoltre un ritardo delle fasi fenologiche, nello sviluppo e nella fioritura che quest’anno si è vista attorno all’otto di giugno. Questo andamento meteorologico sui vigneti convenzionali ha portato a fare molti interventi antiparassitari: parliamo di 8-10 interventi su quelli convenzionali e 10-15 sui biologici.
Nel caso del nostro vigneto, essendo resistente ci troviamo in una condizione ottimale con un unico intervento indirizzato a Peronospora e Oidio: la vite ha ben tollerato eventuali attacchi di queste patologie. Prevediamo di andare a vendemmiare a fine agosto – inizio settembre su tutte le varietà precoci, escluso le basi spumante. Siamo quindi in ritardo di circa una decina di giorni rispetto all’annata media.

Quali sono le malattie che attaccano le varietà resistenti?

Le piante resistenti sono in realtà tolleranti solo alle due principali malattie della vite che sono Peronospora e Oidio. Non hanno geni della resistenza su altre patologie quali Botrite, Antracnosi e Black Rot.

In che modo la pianta resiste e si auto protegge?

Le prime infezioni di Peronospora sono partite durante la primavera, attaccando prevalentemente le foglie. Su di esse si può vedere come la pianta reagisce cicatrizzando la propagazione del fungo. Alla vista si presenta un tessuto necrotico sulla superficie anteriore della foglia mentre l’altro lato, solitamente soggetto all’emissione di muffa bianca (le spore che propagano la malattia sul resto della pianta), risulta sano.

Qual è la differenza tra il biologico con varietà resistenti e quello tradizionale

Questo vigneto resistente di Terre di Ger a Frattina di Pravisdomini viene coltivato con il sistema del biologico. Contiamo un solo intervento antiparassitario contro gli oramai 12-15 dei biologici con piante non resistenti.
A questo dobbiamo aggiungere l’intervento insetticida contro lo Scaphoideus Titanus che è il vettore del microplasma della flavescenza dorata che è reso obbligatorio dalle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia per contenere questa patologia devastante. Nel caso dei vigneti bio si interviene con del Piretro che va ripetuto a circa 5-6 giorni dal primo intervento. In totale abbiamo fatto un intervento specifico per Peronospera e Oidio nell’epoca della fioritura e due interventi obbligatori per combattere lo Scaphoideus. Non si è inserito lo zolfo perché mescolato al Piretro può provocare tossicità.

Olio E.V.O.: Perchè costa tanto e fa così bene

Lo chiamano l’oro liquido e hanno ragione: l’olio extra vergine di oliva italiano è uno dei prodotti più pregiati del panorama alimentare mondiale.

Perché l’olio fa bene alla salute?

L’olio EVO è uno degli ingredienti principe della dieta mediterranea e non solo per il suo gusto fruttato e intenso che regala ai piatti un carattere speciale, ha anche un ruolo importante nella prevenzione e nella salute. E’ un vero e proprio alleato per la pelle, le ossa e l’apparato cardiocircolatorio. Le sue proprietà sono molteplici. In virtù della sua ricchezza di acidi saturi, è uno dei condimenti indicati per chi soffre di colesterolo alto proprio perché aiuta a tenere controllati i livelli di colesterolo “cattivo” senza incidere su quelli “buoni”.

Inoltre è ricco di fenoli, sostanze antiossidanti che forniscono all’organismo una protezione contro i processi infiammatori e contro l’invecchiamento cellulare, utili nella prevenzione di tantissime malattie come diabete e tumori.

E’ perfetto anche come olio per friggere e fortemente indicato per la crescita e il rafforzamento delle difese immunitarie dei bambini.

Perché l’olio costa così tanto?

Spesso ci chiediamo perché una prodotto che dovrebbe stare ogni giorno sulle nostre tavole abbia un prezzo così elevato. Non solo la produzione dell’olio extravergine di oliva ha costi alti ma anche la resa gioca la sua parte. Il costo medio delle olive è di 88 euro al quintale contro una resa di 11 litri di olio al quintale. Se mediamente paghiamo l’olio 12 euro al litro, compreso in questo prezzo ci sono il costo della materia prima (8 euro), del trasporto e della molinatura (15 euro a quintale) e del confezionamento. Dietro una bottiglia di olio c’è un mondo produttivo molto particolare e spesso i prezzi oscillano visibilmente ma è bene non fidarsi di blend con altri oli europei se quello che si cerca è la qualità e la biodiversità territoriale. Quest’ultima è ciò che caratterizza l’Italia come vera e propria culla della produzione di olio d’oliva con ben 43 Dop dal Lago di Garda alla Sicilia, passando per la Puglia, la Toscana e le Marche.

L’olio EVO Terre di Ger prodotto sulle colline marchigiane.

Le olive che utilizziamo per produrre il nostro olio Extra Vergine di Oliva crescono sulle storiche colline dei Castelli di Jesi, zona del Verdicchio D.O.P.,  su uliveti esposti a nord e quindi con una maturazione ritardata.  Raccolte all’incirca a metà di ottobre, regalano un olio con un’acidità estremamente bassa, quasi nulla, e un fruttato intenso che lascia un sapore gradevole in bocca.

Inoltre il terreno delle colline è estremamente compatibile con l’ulivo; essendo relativamente sabbioso e argilloso, le radici vanno in profondità ma non incorrono mai in stress idrico, riuscendo ad evitare la necessità di un impianto di irrigazione con conseguente risparmio di acqua, minor utilizzo di fitofarmaci e, grazie alle precipitazioni basse, riduzione drastica di trattamenti.

Dicono di lui.

Gennaro di Paolo, sommelier di olio extravergine di oliva, ha degustato l’olio Terre di Ger ed ecco la prima recensione che abbiamo avuto su questa novità 2019.

Blend
Blend di 4-5 varietà. Le principali sono Leccino, Frantoio, Ragia, Moraiolo.
Sono state mollite nei primi giorni di ottobre. Sono state raccolte a macchina ed entro quattro ore portate al frantoio.

Sensazioni organolettiche
Visiva:cristallino, denso, verde-gialloOlfattiva: abbastanza intenso, abbastanza fine, vegetale, pomodoro, mandorla. Gustativa: abbastanza intenso, abbastanza strutturato, mandorla dolce, olivo, pomodoro, sufficientemente equilibrato, abbastanza fine, complesso e maturo.

Qualitativamente l’olio è fruttato medio con sentori di vegetale tendenzialmente maturo, in bocca si percepisce una leggera sensazione di amaro e successivamente esce una discreta piccantezza.

Abbinamento: lepre in salsa, risotto di scampi, verze alla Carnica

Vinitaly: Tornare alla tradizione per salvare il futuro

A Vinitaly 2019 abbiamo parlato di PIWI e futuro sostenibile, focalizzando la nostra mission sulla produzione biologica e la conservazione del territorio.

Vinitaly 2019 si è chiuso con un bilancio nettamente positivo per Terre di Ger. Abbiamo avuto la possibilità di far assaggiare i nostri vini PIWI e condividere i progetti sostenibili che vogliamo portare avanti nei prossimi anni. Attorno al mondo delle varietà resistenti si sta creando molta sensibilità ed è stato stimolante parlare e confrontarsi, sia con chi non ne aveva mai sentito parlare, sia con giovani agricoltori consapevoli che hanno deciso di piantare nuovi ettari.

La filosofia PIWI ci sta guidando verso una radicale rivoluzione etica. Dopo la fondazione di PIWI Friuli Venezia Giulia nel corso del 2018, ora siamo concentrati sulla conversione aziendale al biologico – nel 2020 avremo l’ufficialità – e sui nuovi progetti che coinvolgono Feltre e la nostra azienda marchigiana “La Boccolina” dove pianteremo nuovi olivi e vigneti per creare una nuova linea di prodotti che abbia come cuore pulsante il rispetto del territorio, la biodiversità e la coltivazione sostenibile.  
Siamo convinti che per preservare il futuro sia necessario il ritorno alla naturalità delle nostre antiche tradizioni, con le conoscenze che la più alta tecnologia ci ha regalato in questi anni.

Inoltre durante Vinitaly, siamo stati onorati di essere presenti al Winetasting della guida Doctor Wine by Daniele Cernilli, in degustazione con vini di altissima qualità: un segnale importante che ci conferma come i vini naturali PIWI abbiano le stesse ottime potenzialità di quelli ottenuti con vitigni tradizionali.

Grazie a tutti coloro che sono venuti a trovarci e hanno contribuito a darci la carica per continuare questo percorso di riconversione cominciato oramai quattro anni fa e nel quale non abbiamo mai smesso di credere.

Terre di Ger e il futuro dei vini naturali: intervista a Nicola Biasi

Abbiamo incontrato Nicola Biasi al Merano Wine Festival: ci ha spiegato il suo punto di vista sulle PIWi e il lavoro di ricerca che sta portando avanti con Terre di Ger.

Nicola, spiegaci cosa sono le PIWI.

Le PIWI non sono altro che varietà di vitis vinifera come tutte le altre, non hanno nulla da invidiare a quelle tradizionali. Ciò che le differenzia è un fattore molto importante: l’alta resistenza alle malattie. Questo naturalmente non significa che ne siano totalmente immuni.
Tutto dipende dalle condizioni climatiche delle aree di interesse: in certe zone con poche piogge e una ventilazione perfetta si può persino arrivare a zero trattamenti mentre in altre meno favorevoli se ne possono fare tre o quattro, questo contro i 15-20 tradizionali. Dal punto di vista della sostenibilità questo porta chiaramente un grande beneficio, producendo automaticamente meno anidride carbonica e riducendo drasticamente il consumo dell’acqua. Se mediamente vengono usati 400 litri d’acqua per ciascun trattamento, si può parlare di 6000-7000 litri risparmiati in un anno, che nel periodo di desertificazione che stiamo vivendo sono un contributo importante per il pianeta. Con le conoscenze agronomiche ed enologiche che abbiamo oggi, ognuno di noi può fare la propria parte per preservare l’ambiente e il territorio: è un nostro dovere.

Dai vitigni resistenti si può produrre vino buono?

Sì e ci sono le prove. Al di là dei falsi miti sui vini naturali, posso affermare che è assolutamente possibile fare vini di ottima qualità con viti resistenti. A dire la verità – come si può vedere qui al Merano Wine Festival – lo si sta già facendo e il fatto che una manifestazione così importante stia riconoscendo il valore delle PIWI è una dimostrazione che siamo sulla strada giusta. C’è una corrente di pensiero che dice che dai vitigni resistenti si fanno vini cattivi ma è falsa, probabilmente si tratta di una convinzione che risale ai primi esperimenti con queste varietà, quando ancora non c’erano le tecnologie e le conoscenze necessarie per vinificarli nel modo giusto. Una cosa che oggi non ci manca e che ci ha fatto fare un grandissimo salto qualitativo rispetto al passato.

Cosa pensi dei produttori che investono nei vitigni resistenti?

Ho un profondo rispetto per loro perché sono persone che ci credono fermamente, investono soldi per seguire una strada che non è la più facile, anzi: un produttore che pianta viti resistenti spende il doppio di chi pianta un vigneto normale perché le barbatelle costano molto di più. Inoltre, non solo si fa un grande investimento in fase di impianto ma anche successivamente nella fase di comunicazione: serve infatti maggior sforzo per far conoscere le varietà al consumatore.
Chi compie questa scelta di sicuro non lo fa per cavalcare un’onda, quella dei vitigni resistenti non è una moda, piuttosto una corrente di pensiero che fortunatamente sempre più imprenditori stanno seguendo, mettendosi in gioco in prima persona per portare avanti un progetto di vinificazione realmente sostenibile e fare del bene all’ambiente.

Su che tipo di vino bisogna puntare per commercializzarlo nella maniera giusta?

I vini da viti resistenti dovrebbero sempre essere collocati in una fascia alta di mercato: se produci un vino base, di certo non funzionerà. Questo perché, nella grande distribuzione, andrebbero a competere con vini prodotti con varietà molto più conosciute. Al supermercato il consumatore non troverà nessuno che gli spieghi le caratteristiche di un Bronner o uno Johanniter, perciò, automaticamente, metterà nel suo carrello un vino che gli dia più sicurezza, come uno Chardonnay, per esempio. Se invece puntiamo su vini di fascia alta è fisiologico che vadano nelle enoteche o nei ristoranti dove è più possibile che ci sia un sommelier che riesca a trasmettere i valori e la filosofia di quel vino al consumatore finale.
Per questo dobbiamo lavorare sia in vigneto che in cantina per produrre vini importanti.

Spiegaci che tipo di lavoro stai facendo con Terre di Ger.

E’ un progetto di sperimentazione ma parliamo di una sperimentazione concreta e razionale. Robert Spinazzé in primis crede moltissimo nel futuro delle PIWI e a Terre di Ger abbiamo piantato diversi ettari di vigneti con l’intenzione di aggiungerne presto altri quindici nel Bellunese.
Io sto seguendo tutta la parte enologica, concentrandomi naturalmente sui vigneti resistenti, con l’obiettivo di fare vini della migliore qualità possibile, con una bevibilità importante, e allo stesso tempo valorizzando al massimo il nostro territorio. Infatti credo fermamente che il vitigno sia un potente mezzo per esprimere il massimo del potenziale che il suolo ha. I vitigni resistenti ci aiutano anche in questo, a “vendere” il territorio e a valorizzarlo perché puntare sul vitigno non è mai vincente, tutti i grandi vini vendono il territorio.
Abbiamo fatto quindi un lavoro minuzioso e importante per capire quali varietà si adattassero al Friuli, questo tramite l’analisi dei terreni e assaggiando moltissime volte le micro vinificazioni dei vivai per capire ciò che poteva esprimersi al meglio sulla nostra zona.

Non abbiamo la verità in mano ma stiamo facendo il percorso più logico che ci permetta di fare meno errori possibili e di trovarci in cantina con tutti vini buoni per poi trovare, tra i migliori, il prodotto d’eccellenza.

Qual è il tuo sogno per il futuro delle PIWI?

Sono sicuro che gli imprenditori che abbracceranno questa strada saranno sempre di più. Il mio sogno per il futuro delle varietà resistenti è quello che siano ammesse nelle DOC (ad oggi sono ammesse solo negli IGT) perché per il consumatore finale sarebbe un’autentica garanzia. E’ un passo importante ma io sono fiducioso e ci arriveremo: qualitativamente i vini sono buoni – anzi ottimi – ma come in tutte le cose ci vuole tempo.
Per quanto riguarda Terre di Ger invece, mi piacerebbe che in futuro la cantina, pur continuando a mantenere i vitigni tradizionali, facesse il 60-70% di produzione da vitigni resistenti.
Ciò che è veramente importante è tenere sempre puntati i riflettori su questa realtà e che i produttori seguano la strada della qualità. Per raccogliere i frutti di questi sforzi bisogna avere pazienza ma le PIWI fin qui ci hanno già dato molte soddisfazioni.

Nasce Piwi Friuli Venezia Giulia: un sogno che diventa realtà

Da un’idea di Roberto Baldovin e Robert Spinazzè, nasce l’associazione PIWI Friuli Venezia Giulia, per portare avanti la cultura sulle varietà resistenti, rispettando il nostro territorio.

Le varietà PIWI sono originate dagli incroci con viti resistenti alle malattie fungine, un processo di selezione che ha oltre cinquant’anni di storia e che prova a dare risposte alle tante domande di coltivazione biologica, libera dalla chimica degli interventi fitosanitari, preservando il territorio. Un sogno che oggi può diventare realtà.

Durante i nostri viaggi alla scoperta dei terroir viticoli, anche noi di Terre di Ger abbiamo acquisito la consapevolezza che la qualità e il prestigio delle uve e dei vigneti nasce prima di tutto dal benessere dei terreni e dei vigneti e dal rispetto della natura. Dunque, un ritorno alle origini e una viticoltura pulita e sana sono più che mai necessari.

Ci siamo cosi avvicinati al mondo delle varietà resistenti, inizialmente in Friuli a Pravisdomini e Pasiano e poi in Veneto nel vigneto di Mansuè, decidendo cosi di piantare i primi vigneti – 4 ha di Soreli e Sauvignon Kretos nel 2016 – e  di operare un’autentica conversione al biologico che in zone particolarmente umide come la nostra si può attuare solo con viti a varietà resistenti. Quest’anno abbiamo aggiunto altri nuovi ettari di Bronner, Johanniter, Merlot Khorus e Khantus e per il 2019 abbiamo in previsione di piantare anche Monarch e Pinot Nero.

Un percorso etico, piuttosto che tecnico o di reddito, ritenendo quindi doveroso riequilibrare la natura.

Sentendo la necessità di condividere questa una nuova cultura sulla coltivazione dei vigneti e sulla produzione del vino, con Roberto Baldovin abbiamo pensato di dare una forma concreta a questo progetto per poi portarlo avanti con altri viticoltori appassionati. Ecco come è nata l’associazione PIWI Friuli Venezia Giulia, condivisa poi dai soci fondatori Gabriele Gortana, Alberto Lot, Antonio Brisotto e Moira Pizzaia e che ha l’obiettivo di essere un punto di riferimento sul territorio per quello che riguarda il mondo delle varietà resistenti, oltre che a diffondere, con il supporto di PIWI International, informazioni tramite eventi, degustazioni e incontri per promuovere una viticoltura naturale e sempre più attenta alle esigenze dell’ambiente e della biodiversità.

Per altre informazioni: piwifvg@gmail.com

Dalla nostra cantina: la vendemmia 2018

La vendemmia è un rito sacro che racconta ogni anno le emozioni della cantina. Ecco perché a Terre di Ger è stata un momento speciale che ha segnato una svolta nella nostra storia enologica.

Se la vendemmia ha colori e odori suoi che ogni anno si ripetono, di sicuro ogni annata ha i suoi ricordi e ogni cantina ha il suo modo di vivere la raccolta, un momento quasi sacro, un rito che ci accompagna nei millenni e che scandisce il tempo della nostra passione.

La nostra vendemmia è stata abbondante ma di ottima qualità, benedetta da una primavera fresca e un’estate dal tempo stabile, con un’incidenza di fitopatie inferiore alla media e il risultato è stato assolutamente positivo.

Per noi di Terre di Ger i mesi di agosto e settembre passati nei vigneti sono stati assolutamente speciali.

Oltre le nostre classiche uve del territorio friulano dalle quali nasceranno il Pinot Grigio, lo Chardonnay, il Sauvignon e il Prosecco, abbiamo vendemmiato per la prima volta le uve da varietà resistenti ed è stata un’esperienza emozionante. Investire sulle PIWI è la nostra grande scommessa, il modo migliore per fare la nostra parte nella piccola grande rivoluzione che coinvolge sempre più realtà italiane e internazionali. Se la vendemmia è un rito sacro, il vigneto è un luogo da rispettare, con i suoi equilibri e la sua biodiversità, ecco perché le varietà resistenti sono il nostro piccolo orgoglio e nel mese di agosto abbiamo potuto cominciare la raccolta manuale e avviarle finalmente alla produzione. Le uve di Soreli, Sauvignon Kretos, Bronner e Johanniter che abbiamo coccolato durante tutto l’anno, si sono rivelate bellissime e sane oltre che compatte e corpose, con circa 22 gradi zuccherini e acidità di 6,50 gradi.

Una gradazione zuccherina inferiore invece caratterizza la famiglia delle uve rosse – Monarch, Melot Khorus e Khantus – che sono risultate molto strutturate e robuste, intense e cariche di aroma.

Da queste varietà resistenti nasceranno i vini delle nostre selezioni, il Limine e il Masut.

Un’autentica novità è stata la prima vendemmia nella nostra nuova azienda “La Boccolina” di Maiolati Spontini. Dalla piantagione delle viti, passando per la cacciata e i primi grappoli, abbiamo seguito con passione tutti i passi di questa avventura fino alla raccolta.

Collocati sulle colline di Jesi, i vigneti sono immersi nel cuore pulsante del territorio più antico per quanto riguarda la produzione di Verdicchio DOC dove la brezza dell’Adriatico mista all’escursione termica delle notti dell’entroterra regalano alle uve minerali la giusta maturazione e la classica dolcezza con gradazioni zuccherine intorno ai 22 gradi. La composizione dei terreni in questa area può variare moltissimo, anche quando si parla di zone molto ravvicinate, ecco perché la vendemmia dei vigneti in collina è stata diversificata da quella a fondovalle o vicino all’umidità dei boschi, ritardata all’ultima settimana del mese.

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